brevi scritti di FRANCESCA CAPITANI

Il camino parla

Sono a casa sola, davanti a un camino acceso; avete mai pensato, avete mai capito l’importanza che ha un camino acceso? Ti fa compagnia, ti ascolta, ti conforta, ti parla, e così tra il gatto che si mette sul cuscino, il cane che ti si accuccia ai piedi dove arriva il calore della fiamma, io sola, ma ancora piena di vitalità, guardo il camino e mi viene da sorridere: ecco la fiamma è allegra, lunga, somiglia a una chioma rossa che dopo un po’ è piccola, si abbassa, sembra come l’umore di una persona che va su e giù, poi oh! Il fumo! Rabbocca, si dice da noi, forse c’è vento o forse si avvicina la neve. Lo guardo questo camino ardente come ero io non tanto tempo fa, caldo come ero io non tanto tempo fa, oscuro come certi periodi che sto attraversando, fumoso come lo è a volte la mente. Ma… che bello questo calore, e guardando il camino mi sento attraversare da un brivido e girandomi verso di lui gli dico “Grazie caro!” e lui sembra mi risponda. E allora penso: Se non ci fosse? Mi troverei sola in un buco nero.

 

La campagna

Mi sono circondata di cose stupende: la siepe di alloro dove la sera rientrano decine e decine di passerotti che al mio avvicinare, spaventati, fanno finta di volare, ma, poi sentono che sono loro amica la (tata) e quindi si zittiscono, e io li immagino in mezzo a quel groviglio di foglie verdi, profumati col capino sotto l’ala prati di miglietto e teneri vermicelli. Come mi sento! Chi può capirlo? Settimio, l’uomo tuttofare, vuole potare la siepe di pruno che in questo periodo è di un rosso abbagliante e passa dal giallo oro al vermiglio e nel periodo freddo è anche cibo per gli uccelli. Quindi la mia risposta è: Se lo tocca una parte della sua virilità… andrà in fumo! Sì, sono sola; da tanto amore, da tanti amici e amiche, tanta confusione, ora sono sola e mi ritrovo a guardare la montagna e le ammiro, perché dall’estate all’inverno i colori, le sfumature, le ombre, le nebbie sono infinite e mutevoli, quasi da un istante all’altro; il grigio diventa bianco, il verde giallo, e le rocce sembrano pietre preziose.

 

Il vento grigio

Ho sentito vicinissimo a me un soffio, un passaggio di ali leggere, un sospiro; ho sentito vicinissima a me la morte. È la prima volta che non ho paura, che non mi atterrisce il pensiero di lasciare tutto questo colore, tutta l’aria che viene dai monti, i miei cari, gli animaletti; non ho più un colpo al cuore pensando alla fredda terra, al chiuso di una bara. Certo mi piacerebbe essere esposta in un posto bellissimo, sopra un’altura e far sì che il sole, il vento, la pioggia, la neve a poco a poco mi riducano al niente, ma… Guardo fuori e penso che è assurdo vivere come me. Se l’ala della morte passerà oltre, cercherò di cambiare un po’ la mia vita distraendomi un po’ di più. Certo mi sento un peso e a volte ho paura, inutile negare, e vorrei tornare bambina per non far certe stramberie che hanno minato la mia salute. Inutile negare che dalla vita ho sempre e amo tutto. Mi diverto di tutto, vedo e analizzo le persone che mi sono vicine e anche se sono fasulle non le giudico perché ogni essere umano ha le proprie debolezze e difetti. Amo i fiori, tutti, in essi mi specchio e cerco di collegarli a degli episodi della mia vita, tanti e tanto belli proprio come loro.

 

 

Al funerale

Ai funerali mi piace osservare le persone che vi partecipano, soprattutto i parenti. Che tristezza, che falsità, che ipocrisia mi circonda! Fino al giorno prima peste e corna del povero defunto, definito stupido, egoista, avaro, non vale niente! Poi lacrime, occhiali neri, occhi storti, viso affranto. Perché? Perché questa finzione? Io al mio vorrei che tutti, specie i miei parenti, fossero sì vestiti in modo adatto alla circostanza, ma un po’ di rossetto, un filo di perle, un foulard, una spilla, una cravatta bella, insomma un tocco di vivacità.

Poi i saluti, i baci, gli abbracci, i sospiri, le strette di mano mosce e… oh! Era un angelo, che donna, era un portento. Beh di me questo potrebbero anche dirlo perché persino mio cognato Aldo e la fu Elina, ed Emma, mi dicono sempre quando mi sentono o sto da loro: Franca, sei una forza della natura!

 

Ciò che è stato

Ci sono dei momenti nella giornata che mi soffermo a pensare alla mia vita che è stata e a quella che poteva essere: quella che è stata con dentro la famiglia con niente affettuosità, ma forse, dico forse, perché probabilmente l’amore c’era molto dentro nascosto, ma c’era, ma dimostrarlo niente, niente espressioni d’amore, niente che mi si doveva come donna, che non aveva niente da invidiare a nessuna perché avevo tutto! Corpo ben fatto, belle gambe, viso perfetto con occhi espressivissimi blu sotto un casco di capelli biondi, forse un po’ piccolina, ma quello che più contava era la femminilità, ne ero impregnata in ogni gesto, ogni movimento, ogni frase erano atte a conquistare le persone che avevo davanti. Ma con tutto ciò da parte di mio marito non c’è mai stato un gesto amoroso spontaneo, una frase, un complimento atto a farmi desiderare di stargli vicino. Le nostre passeggiate si riducevano a visitare solitari cantieri, macchinari, depositi. Ho passato ore e ore in macchina e inutile dire che quando ci fermavamo in qualche paese, parlo dei 1960 circa, intorno a noi si creava un capannello di ragazzi e uomini dai quali mi sentivo appellare con le frasi più carine e complimentose. Il più delle volte al ritorno dalla mia metà era il muso perché mi ripeteva: Possibile che non ti si possa lasciare sola un “momento” che raduni una folla? Un “momento”? Ore dentro l’automobile, esposta come dietro una vetrina. Ho fatto di tutto per avere ciò che mi era dovuto come donna: sono stata gelosissima, ma è servito solo a far dire la fatidica frase: La gelosia è una malattia e come tale va curata! Finché un giorno… mi sono sentita liberata da tutte queste tristezze, e niente più gelosie, niente dolore, niente più quesiti ma quasi contenta quando con la metà guardavamo qualche bella donna che ci passava vicino. E ora mi sono chiesta che faccio di me? Della mia vita? Del mio corpo? Di tutta questa vitalità, passionalità che mi sento dentro? Sì giocare, seguire, stare dietro ai mie splendidi 3, ma non bastava. Corteggiatori tanti, aspiranti secondi mariti pure, amici di famiglia appassionati… dentro di me c’era come un’esplosione e pur non sapendolo andavo cercando un amore, l’amore vero che si manifesta anche col solo tocco di un dito. Non ho fatto più ricerche né prove con altri uomini, mi sono fatta sì corteggiare, anche amare, ma mi chiedevo dopo ogni passeggiata, una cena, un ballo, un regalo, cosa sento dentro quando la sua mano mi carezza, cosa provo quando quasi a forza vuole un bacio da me? Per tanti anni a queste domande non ho saputo rispondere, e la mia vita scorreva meravigliosamente, figli per me perfetti. Amici e amiche tanti, vacanze, e da parte di mio marito, devo riconoscerlo, tanto benessere, libertà di fare tutto ciò che volevo. Ero una donna ammirata ovunque andassi. A un pranzo con personaggi importanti insieme alle loro consorti, ho ricevuto elogi per la mia parlantina con un racconto di paese, e negli occhi di quei signori ho notato ammirazione, allegria e, perché no? Desiderio.

Poi. Ho incontrato l’amore. Quello vero.

 

L’ombra

Dammi una mano Fra’, sfiorami le dita, di più da te non m’attendo ma ti prego sfiorami ne ho bisogno. Sono sola senza la minima considerazione da parte dei tuoi ma più miei figli. Sono lontani, distaccati, nemici, io però li amo, ma comincio ad avere un groppo al cuore e questo è brutto, non lo voglio avere; il mio cuore almeno per loro dovrebbe essere libero, pulito e allora… porgimi la mano, se puoi stringila forte fino a farmi tremare il braccio, fino ad arrivare al cuore e sostenerlo fino a farlo ritornare a posto. Ti prego so che ci sei, dammi la mano e aiutami perché io non voglio più vivere così.

 

Quattro notti d’incubo

Sentirsi dire con fare perentorio da un imberbe che poteva essere mio figlio: “reparto geriatrico” per me è stato un colpo. Mi sono sentita all’improvviso addosso tutti i miei settanta anni (mi sono sposata a diciassette). È stato come se una corazza fatta di discreti vestiti, belle calze, gioielli, lotta per mantenere bella la pelle, mi si fosse tolta di dosso, lasciando uno scheletro vuoto. Con un gentile signore sono arrivata nella stanza e mi sono quasi paralizzata: quattro letti, quattro persone in una stanza, tutte sconosciute. Mi sono chiesta: Cosa  avranno queste povere criste? Una dormiva e vedevo solo una testina bianca, una era lunga nel letto e non ho capito subito se era una donna o un uomo visto che oggi non si bada più a niente; una era una minuscola vecchietta (novantatre anni) che stava seduta sul letto a ciincischiare non so che.

Educatamente ho salutato tutte, poi ho chiesto se qualcuna di loro avesse problemi rumorosi notturni perché io, cardiopatica, ero là per una questione non proprio “leggera” e quindi la notte dovevo dormire. Tutte hanno risposto che il loro sonno era perfetto, al che con molta gentilezza ho detto che se non fosse stato così,  mi sarei alzata e con un cuscino avrei soffocato la colpevole.

La prima notte è stata un inferno: tutte che parlavano alle zanzare di cui l’ospedale era pieno; era una caccia spietata; la novantatreenne soffriva d’insonnia, quindi ha seguitato a chiedermi se dovevo essere operata e cosa avevo e cosa mi sentivo. Ho resistito, ma la seconda notte dopo botti, flatulenze a tutto spiano, rutti sospiri che avrebbero svegliato un orso in letargo, alle cinque di mattina ho fatto una scenata. Così, dopo aver svegliato tutto il reparto, fatto accorrere tutti gli infermieri, il resto della notte e della giornata è trascorso benino, con un po’ di muso da parte della mia vicina, alla quale io, di fronte a testimoni, nella mia furia avevo detto che l’avrei presa e frullata fuori dalla finestra. Alla fine prima di sera si è convinta, per la sua incolumità, di farsi dare una doppia camomilla. Niente da fare. Durante la notte ore 1.30 la prima alzata, se non altro si è scusata, dopo aver urtato col suo bustone tre sgabelli, sbattuto la porta della camera così come quella del bagno, idem al ritorno, si è messa a parlare da sola, io con le fibrillazioni che aumentavano insieme al mio odio per tutto il globo terrestre e però a un certo punto l’ho sentita dire Io la credevo tanto brava e buona questa signora e invece se l’è prsa con me che sono la più tranquilla. Franca taci. Chissà se tu arrivi a domani quindi rispetta chi ha 23 anni più di te.

Letto di fronte, signora impossibilitata a muoversi per una caduta, ha raccontato in 5 giorni le sue storie almeno 3000 volte, così alla fine io e la testina bianca non ne potevamo più ed abbiamo desiderato, guardandoci negli occhi, che forse con un piccolo aiuto (magari da me), fosse acduta dal letto battendo magari soo la testa da restare così tramortita per un po’ di tempo. Era un continuo cambio di pannoloni con un odore che io neanche negli antichi vespasiani, da piccola, ricordavo di aver mai sentito. Poi si vantava che quando la faceva era un torrente, tanto che una notte si è bagnata fino ai capelli, ma io perfida mi sono alzata e ho aperto la finestra, pensando alle care zanzare che potevano arrivare e farla nera. Difatti la mattina dopo aveva un occhio gonfio e il viso tipo rosolia, rendendola così fascinosa che un totem pellerossa al confronto era una meraviglia. Poi raccontava di quando andava al bagno, di quanta e come ne aveva fatta, ma non durante il giorno, quanto a tavola con un pasto così dietetico, per vecchi, ma di una schifezza tale che io pensavo questa Fra’ è la volta che quel mezzo chilo che cerchi di toglierti da mesi finalmente ti abbandonerà, ma lei seguitava con racconti di padelle piene finché io e testina bianca le abbiamo detto che forse ci poteva fare anche un pasto. Pensate che tutto si svolgeva in una stanza neanche grande… Lei con padelle piene di tutto, ogni cinque minuti chiamava gli infermieri. Testina bianca, poi si è scoperto (mi conosceva  benissimo) aveva il catetere anche lei per come stava o cosa aveva io non ho mai chiesto niente, ma dal suo corpo veniva un puzzo tremendo. Siccome io come al solito mi ero lagnata, quei poveri ragazzi degli infermieri non si erano pronunciati ma mi avevano dato molto ascolto, fin quando una mattina il medico con il suo seguito non si è reso conto di che fogna fosse la stanza e… scoperta la causa ha fatto quel poco che poteva per togliere un po’ di lezzo. Era l’unica (testina bianca) che come me non ne poteva più e penso che vivrà poco e mi viene un nodo alla gola pensando che magari i figli potrebbero portarla nel suo letto, a casa sua e farle chiudere gli occhi con meno dolore. Ma, questi figli!

Che dire del personale? Bravi, scherzosi alcuni, rudi e cafonotti altri; per le donne si passa dalla ragazza *** alla musona, alla rustica, all’indifferente, all’umana, ma devo riconoscere che per il lavoro che fanno dovrebbero avere lo stesso stipendio di un onorevole che invece fa solo danni. Domando perché uno di loro senza che si sappia chi sia non si ricovera per un paio di notti nel reparto geriatrico così da rendersi conto personalmente? È vero che loro sono istruiti, personaggi importanti, ma vedere cosa fanno questi ragazzi e ragazze tutto il giorno e tutta la notte. Pulire padelle, medicare piaghe, pulire sederi ed altro a tutti, accorrere ad ogni suonata, tenere sollevati organi maschili per fare pipì (visto con i miei occhi). E poi perché non esonerare gli uomini dal pulire le parti intime delle donne? Non pensate che anche a una certa età si ha vergogna di mostrarsi specie in certe condizioni a un estraneo? Provi questo onorevole o qualcuno simile poi mi dica se dovrebbe togliersi un po’ di stipendio per far sì che le cose cambino negli ospedali?

E di me cosa posso dire? Che avevo una fifa boia, che ho servito e aiutato tutte e tre le mie compagne di sventura, che al mio uscire erano commosse e tristi, ma io pensavo a una sola cosa: a casa, ai prati pieni di erba e di bottoni d’oro, agli uccelli, ai miei cani, ma principalmente all’aria che finalmente potevo respirare.

 

Sesto senso

Il mio sesto senso acuito e il sogno con Franco (che dice): La mia testa per quella vena non sono tornato a casa, ma dopo l’ho fatto. Qui c’è Maria (mia cugina) ha il suo pensiero, sai tenere le redini e l’apprezzo. Devi pretendere rispetto. Hai tenuto il mio nome. Sistemata la tomba (era caduto un pezzo). Con questo tu mi hai onorato. C’è un Luigi che ti fa la corte. Hai diritto alla pace. L’equilibrio non ti manca. Fatti i controlli perché è giusto e ti ho lasciato il pegno. Di Via Arcidiacono devi godere i nipoti avete lo stesso sangue. Non avere rimorsi. Guarda la bilancia. Sei ancora bella. Teresa è qui, e si può tornare in spirito, hai esaurito il sacrificio. Sono con Antonio, qui c’è sempre famiglia, la troverete. C’è Ernesto. Giuseppe? L’aspettano. Tu sei libera. Anna: stai bene con lei? Tu mi hai cercato e io ci sono, l’aiuto lo meriti e sono sempre con te. La preghiera fa bene a tutti. Quella dell’uncinetto è qui. Tutto è prova nella vita, ci vuole fee e non deve mancare il coraggio. Cristina è buia, ma c’è Maria Clara. Franco le ricorda.

 

Capodanno fantastico (uno dei tanti) anni fa. Luogo stupendo, fine, arredato magnificamente, tavoli e posate elegantissime, io con un abito delle ****, molto chic e adatto alla mia figura.

Si balla…  Titti che ritmo che ha mi viene voglia di stringerti tanto fino a stritolarti. Titti che seno sodo che hai vorrei che mi restassi sempre attaccata così, Titti che collo da bacio che hai, che profumo emani sembri un fiore, vorrei baciarti, adorarti, accarezzarti fino allo sfinimento. Titti amor mio il ballo è finito. Torniamo al tavolo brindiamo a noi, a noi sempre vicini, sempre insieme. Guardati intorno, guarda le donne, sei la più bella, splendi. Guarda gli uomini, anzi non perché nel loro sguardo vedo invidia verso di me e desiderio porco verso di te. Titti come sarebbe la mia vita senza di te? Titti non lasciarmi mai, ne morirei. Titti. Senti *** della mia vita non farmi pensare a niente questa sera, domani ne riparliamo ma ora voglio ridere voglio stare con te, amarti, ma ricorda che anche io ho i miei piccoli titti e anche a loro, non devo decidere. Pensiamo a trascorrere questa serata, l’ultima di un anno già passato insieme con allegria e cerchiamo di far sì che tutti i giorniche verranno saranno pieni di amore, ma cercando di tenere ben fermi i piedi per terra, poiché Titti tua è come un gatto. Fa le fusa, ti ama, fa le coccole, ti tiene tra le braccia, vuole le tue carezze, ma la momento buono sa tirare fuori gli artigli, graffiare, arruffare il pelo e fuggire il più lontano possibile. Anche io voglio ballare abbracciata a te e sentire il calore del tuo corpo ma non essere noioso, in silenzio accosta la tua bocca al mio collo. In silenzio. Si gusta di più.

 

Marina – Gazzella

Ho sempre avuto la “cattiva” abitudine conoscendo o osservando un volto somigliante a un “animale” facendo a me stessa sempre la stessa domanda: chi è quel tizio che tanto somiglia al mio micio? E quella signora che sembra il musetto di un maialino? Ma, una fanciulla che conosco da anni appena l’ho guardata, toh! Una gazzella, sì proprio lei con corpo svelto, sinuoso, viso espressivo, movimenti agili, cuore grande così, disponibile con tutti piccoli e grandi, giovani e vecchi. Una gazzella però senza compagno, ma che riempiva questo vuoto giocando con i piccoli suoi simili, li faceva saltare, li guidava, li sgridava anche, perché la gazzella ha anche un suo carattere nient’affatto pacioso. Poi aiuta i grandi accompagnandoli in giro facendo anche da scudo quando si crea qualche pericolo. Ma un giorno la gazzella ha incominciato a sentire qualche piccola fitta al cuore, avvertì che la testa non era più libera come una volta, l’allegria si era affievolita, insomma era arrivata la tristezza. Che sarà? Si chiese la bella gazzella, Andò a chiede di qua e di là e si sentì rispondere da tutti: Sei sola, hai bisogno di un compagno, devi innamorarti, trovarlo, esci da questo bosco, vai in altre parti, vedrai che lo troverai e allora sì che sentirai una grande e piacevole fitta al cuore. La gazzella seguì il consiglio, s’avviò verso le montagne e cominciò ad arrampicarsi; saltava con agilità, saltava sulle rocce, superava crepacci, attraversava ruscelli, il cuore in gola, ma seguitava a salire salire e finalmente arrivò sulla vetta. Guardò da tutte le parti mentre pian piano il suo corpo cambiava; si accorse  di essere diventata una bella donna. Si sbigottì, ma in quell’istante sentì un sibilo, quasi un richiamo come una sinfonia. Guardando di sotto vide un giovane che saliva verso di lei. Bello, pensò, dove andrà? Come mai così solo? Ma il giovane era arrivato e si era avvicinato a lei e prendendola tra le braccia le disse Ma dov’eri? Da tanto tempo ti cerco ma dove eri nascosta dolce gazzella? E la ormai gazzella mamma, rispose socchiudendo gli occhini e quasi incredula rispose con un filo di voce – E tu?

 


I contendenti

Ho settantuno anni e ho vicini tre padroni. Non sono cattivi, non sono lazzaroni, ma vogliono ordinarmi di seguire una via che, alla mia età, e da come sono vissuta, è piena di scivoloni. Se volete eliminarmi, fatelo con un po’ più di tatto, magari dimostrandomi un po’ più di affetto. È vero la mia vita ( quella che mi resta) va un po’ raddrizzata, ma non si fanno le cose all’impazzata. È ora che agiate, verso di me, con le vostre teste ripensando a quello che vi ho dato e a tutte le feste. Non siate gentili, quello lasciatelo a qualcuno che è sopra di noi e che fino a oggi ci ha guardato e da dentro una nuvola, o da sopra un ramo di fuori ci ha anche accarezzato.

 

Il portagioie

Aprilo aprilo sempre, quando sei triste o allegra. Triste: lo apri e dentro ci vedrai un paio di orecchini, belli, e ripensi a quella serata quando accarezzandoti le orecchie te li messi e ti ha baciato con delicatezza il collo. Pensi… voglio metterli sì, adesso, e ci abbino un bel vestito e sandali e poi gli vado incontro! Ma guardando al fondo del cofanetto vedo tante altre cose che mi ricordano momenti deliziosi e languidi passati con lui, e così la tristezza è passata. Ma sarà proprio vero? Apro il cofanetto e il mio cuore fa un balzo, ecco c’è la collana che mi ha messo al collo il giorno che mi ha chiesto di sposarlo. La tocco. È come se toccassi la sua pelle, ho un brivido, penso con allegria a quando rientrerà, mi farò trovare soltanto con la collana al collo. Vedo già i suoi occhi che brillano e sento la felicità che ci avvolgerà. Sto per chiudere il cofanetto ma sento un profumo, come una nuvola che i esce fuori e mi avvolge tutta. Lo chiudo subito questo cofanetto perché ci resti dentro per la vita, sempre, questo profumo che non è altro che nebbiolina di felicità.

 

La mano sopra la coperta

Erano mani forti e rudi, erano sempre piene di graffi, di punture, di rughe, mani che non si sono mai fermate e di un campo incolto e spoglio ne hanno fatto una terra in pieno germoglio. Mani abbronzate perché anche sotto il sole non si sono mai fermate, mani grinzose che di liscio e di levigatezza non avevano più neanche la parvenza. Caro Marino hai lavorato tanto per lasciare tutto e tutti nel pianto. Ma lassù ci sarà tanto terreno e tante bestioline da allevare e un Signore grande e grosso ti dirà di proseguire ciò che nella vita, sotto la sua guida, avevi dovuto smettere per una non certo voluta malattia.

 

81 anni di Mario

Mi dispiace non essere stata vicina a te per il tuo compleanno per augurarti tanti anni felici, stringerti la mano e farti una carezza per dimostrarti la mia schiettezza e tenerezza. Sono vicina a te da anni, ormai hai vicino una donna come Elda che ti ha coccolato, amato, viziato, e a volte anche sgridato.


Ricordo

Ho visto un uomo anziano in tv suonare la chitarra. Flash! Ho ripensato a papà e come la suonava bene e sono chiesta quando già mi saliva un groppo in gola, dove l’avrà imparata? Chi è stato il suo insegnante? Sapeva tutti gli accordi ed io tutte le volte che lo vedevo sereno, seduto sul suo seggiolone, gliela prendevo e gli dicevo: suona papà ed io canterò. Che bello! Ma che malinconia! Quante volte siamo andati, io, papà e nonno Giuseppe che “stava” alla fisarmonica, anzi organetto a soffietto, bellissimo coi tasti in avorio e le rifiniture in madreperla e si allungava tantissimo, e nonno come lo suonava. Loro due a suonare ed io a cantare: alle spose, alle feste, alla mietitura, ai fidanzamenti; io come uno scricciolo cantavo di tutto: dalla Capinera, all’Acqua nel ruscello e Parlami d’amore Mariu’, con una voce bella e intonata e così intorno avevo il silenzio, poi l’applauso. Il ritorno a casa era allegro perché i due suonatori ricevevano qualche soldino e io dolci, pane, pezzi di carne, di formaggio, più le cose che rubacchiavo in cucina nascondendole dentro uno strofinaccio che mi portavo da casa. Che bello il rientro a casa! Che bello dare a mamma quella “***” piena di ogni ben di dio, che bello vederla correre, che tenerezza quando mi accarezzava e avvicinando la mia testa al suo grembo mi diceva, Tutto questo ti hanno dato? Che bravi! Io zitta e mandavo finalmente giù il groppo che avevo in gola dalla mattina e pensavo che per mamma avrei anche ucciso. Poi stringendomi a lei pian piano sentivo la stanchezza che mi prendeva e mentre socchiudevo gli occhi vedevo papà che riappendeva la chitarra al chiodo sul muro, dava i soldini a mamma e… Tere’ siamo stati veramente bene, Franca è stata un’attrice.

 

Grazie di cuore

Fino a questo momento in casa mi sono trastullata con questo e quello, sono uscita fuori e nel terreno ultra bagnato mi sono inzuppata le scarpe e così di corsa a casa! Poi ho rovistato negli armadi per ordinare le decine di borse, borsette, foulard e calze, poi ho aperto cassetti per fare una cernita. La centesima, penso, di centrini, pizzi antichi presi nei mercatini dell’usato *nei vecchi casi*, ed indimenticabili passatempi. Poi stop! Telefono? A chi? Perché? Per svelare la mia solitudine, per rivelare la crepa nera dove mi trovo? No. Non sono il tipo per fare questo. Io sono la ragazza dagli occhi blu, belli, sempre sorridente, la ragazza con le labbra sempre atteggiate al riso, la donna sempre allegra, vivace ecc. Ma ormai sono una stagionata signora che non perché lo voglia lei ma per ragioni esterne, ha sul viso una leggera patina di incazzamento. Ma di tutto ciò devo dire grazie a tutti: ai miei tre figli, grazie a i nipoti che ogni tanto andrebbero stritolati affinché si ricordino di avere i nonni, grazie ai parenti più stretti che invece di stare seduti a non far niente e a spettegolare dovrebbero ricordarsi, almeno una volta al mese, di avere una sorella, cognata, amica. Ma attenzione io sono anche la signora delle sorprese e chissà che non ne faccia una da far sì che siate poi voi a sentirvi soli.


Domenica mancata

Non c’è più la domenica. Mi ricordo quelle passate, quando stavo, anche da sola, a Roma; mi svegliavo e mi sentivo felice, sentivo intorno a me un’altra aria, sentivo la festa e cominciavo a pensare cosa indossare, e che giro avremmo fatto con Marisa. Marisa non più vicina, Marisa con poco spirito ma ancora con tanta voglia di andare avanti, Marisa che al telefono mi chiedeva, andiamo a prendere le paste degli ebrei al Borgo di Ottavia? Poi ci facciamo un giro, c’è il roseto da visitare. A me andava tutto bene e in un batter baleno eravamo pronte e via con la macchina verso Trastevere. Parlottavamo sempre delle nostre cose, anche se erano poche ore che non ci vedevamo. Poi a casa ma prima di lasciarci… E oggi che facciamo? Un po’ di panico. Andremo al cinema e poi passeggiata, visitina in chiesa, guardatina ai ruderi e ci buttavamo dietro le spalle tutti i nostri malanimi. Poi mi ritrovavo a casa contenta sì, ma anche con un po’ di tristezza perché pensavo che la giornata, malgrado il bel film, l’aperitivo da Vanni, la passeggiata, mi sentivo dentro un amaro, lieve sì ma amaro, e quasi quasi avrei preferito una giornata o interminabile o mortale.

 

Le viole

Varcato il cancello di casa, all’improvviso mi sono bloccata; borsa, busta della spesa, chiavi, tutto mi è caduto dalle mani e non ho capito più nulla. Tutto silenzioso, tutto buio, niente calore, niente luce, niente canto di uccelli, i cani? I gatti? Svaniti. Dio cos’è? Cosa mi succede? Un attimo, il battito d’ali di una farfalla, il tempo di un respiro e tutto è tornato come prima. Ho raccolto le cose da terra e mi sono chiesta cosa mai fosse successo. Ma dopo aver posato tutto a casa sono uscita sul prato e che respiro! Che stupendo panorama, il sole tiepido sul viso, l’aria pulita, frizzante e da lontano come sempre, da quando ero bimbetta sentivo da lontano, l’odore delicato *** delle viole. Quasi di corsa sono andata vicino al fosso e gli occhi mi sono diventati viola. Piccoli mazzolini di foglie verdi e fiorellini viola tanti e tanto belli dai quali veniva un profumo che era impossibile non sentire, le avrei raccolte tutte, e col pensiero sono tornata indietro a tanti anni fa quando con una cugina Maria, cugino Paolo e mia sorella Anna con un piccolo **** andavamo per viole giù verso il fiume. Anche lì sentivo a distanza l’odore e un giorno il cestino lo riempiamo tutto con viole che io avevo trovato (il posto c’è sempre) grossissime, con il gambo lungo e il profumo da stordire. Il cestino era una meraviglia, ma mia cugina non volle darmene nemmeno un mazzolino, ed allora io in un  impeto di rabbia presi il cestino e rovesciai tutto per terra pestando i fiori. Il pianto che è venuto dopo, era perché quei fiori per terra sparsi qui e là mi sembravano tante pietre preziose buttate via, tante farfalle viola messe là a morire. Questo episodio me lo porterò dietro fino alla mia fine e spero che arrivata in qualche luogo ameno ci siano prati e che io possa sentire quell’odore e mi venga incontro al posto del cestino una nuvola piena di viole, e chissà se qualcuno perdonandomi me ne porge un mazzolino?


Le vicine

C’è un palazzo a Subiaco abitato da diverse famiglie, alcune di queste sono molto unite. Sono brave le donne tutte buone, appesa sopra al letto hanno la madonna, ma forse a lei si rivolgono con preghiere strane, magari solo per sapere se da una o dall’altra sono state invidiate o tradite. Parlano l’una dell’altra, ma come una si gira nell’aria si sente come uno spiro, un sibilo serpentino. Eppure a sentire loro si vogliono bene, ci sono stati battesimi, comunioni, cresime fatte insieme, ma dopo c’è sempre tanto, molto da ridire, anche cose che altre persone non dovrebbero udire. Ma poi tutto passa: vuoi un caffè? Subito pronto, serve la carne per una famiglia è presto fatto… ma dietro il sibilo c’è sempre ed io penso che intorno a loro che le unisce a quel modo malsano ci sia un serpente.

 

Prima cotta

Nonna! Sospiro… sai ti devo dire una cosa, ma tu giura che non lo dirai a nessuno. Io zitta, ho fatto solo un cenno con la testa, con la fibrillazione già in atto, a quell’età i misteri, i segreti, i sospiri, l’aria inghiottita a vuoto possono significare tante cosee con tutte le bruttre che oggi succedono! Nonna! Il cuore quasi non regge. Sai mi sono innamorata! O nonna è una cosa bella mai sai piccola… anche se tua nonna a 13 anni aveva circa venti fidanzatini! Ma dimmi come sai di avere questo sentimento? O nonna sapessi, lo vedo da tutte le parti, lo sogno, quando lo incontro vorrei prendergli la mano, fare una corsa con lui o restare seduta su una panchina vicina vicina, insomma nonna quando penso a lui mi sento tremare.

A Fra’ e adesso che le dici? Che è amore? Che è l’età? Che succede sempre? Che è bello avere certi sentimenti? Ma la nonna però che è passata per tante stupende praterie dell’amore, che ha conosciuti i meandri di tutte le dolcezze che esso può dare, se l’è cavata con disinvoltura; piccola non ti preoccupare, avrai tanti di questi tremori, quello di adesso è della classica prima cotta giovanile; l’amore quello vero avrà tante e diverse sfumature; forse basterà solo uno sguardo per capirlo. Per adesso basta così.

 

Il gatto randagio

Veniva giù un gatto dal vialetto e vedevo che non aveva un tetto. Era mogio e l’occhio calato, si vedeva che era affamato. Entrò tra le sbarre del cancello, e chissà cosa gli disse il cervello? Sono a casa? Chi ci sarà? Quale scopa mi colpirà? No qui è tutto calmo, c’è qualcosa di rosa, chissà se nel suo grembo ci si riposa? Entrò in casa, mangiò e si saziò, si riposò e un grosso miagolio dalla gola gorgogliò. Era felice il gatto e diventò un po’ matto. Saltava, miagolava quasi sorrideva e sembrava che la sua vita un po’ alla volta riprendeva. Io guardavo, pensavo e sorridevo, ero contenta e vedendo fuori la finestra il tramonto rosa pensavo che all’umanità avevo fatto un’altra bella cosa.

 


Parola magica

Tenerezza. Che dolcezza sentirla dentro. Dimostrarla a chi ha vicino, a chi stimi, a chi ami! Tenerezza viene dal cuore e dove arriva porta gioia, allegria, amicizia, legami stupendi. Tenerezza che parola lunga perché? Forse per far sì che si assimili tutta in tutto il corpo. Per me parte dai piedi e arriva alla testa poi ritorna al cuore e da lì spande su tutto ciò che ha intorno. Tenerezza è ciò che senti dentro alla vista di un tramonto, al brillare delle stelle, al profumo di un bosco fiorito, al bacio di due ragazzi innamorati, alla fedeltà, all’amicizia, alla famiglia riunita tutta insieme, e anche se qualcuno non c’è più cercare di far capire a chi è restato di quanta tenerezza è circondata. Se non si prova tenerezza che cosa è la vita? Nulla, non ha senso, ti senti dentro solo tristezza e isolamento.

 

L’incanto

Alzando gli occhi in alto, tra gli alberi scuri, è spuntato uno spicchio di luna, bellissimo, sembrava d’oro, un po’ più in là c’era una stella grande, bella, accecante, e sembrava che tra lei e la luna ci fosse quasi un amore nascente.

Sono rimasta incantata e tra la luna e la stella non sapevo scegliere a chi rivolere una preghiera, una supplica perché non riuscivo a capire chi fosse la più bella. Ma all’improvviso su un angioletto della luna ho notato qualcosa, ma non le solite cose che da secoli studiosi e foto ci vogliono far credere e così ho guardato meglio e toh! Un bambino si dondolava, con la manina mi salutava e con la boccuccia mi sorrideva. Dio di chi sarà? Chi lo avrà. Certo nella famiglia nascerà. Poi non ho visto più nulla ma rientrando a casa pensavo ai momenti felici, alla dolcezza che può donare la visione di una stella e una fetta di luna con sopra la figura di una creatura.

 

Il telaio di G.

Su a Via dei Cappuccini, nella casa dove siamo stati tanti anni dopo la guerra, e dove io e i miei abbiamo conosciuto la tristezza e la miseria, io mi sentivo prigioniera e finiti i compiti scendevo veloce verso il centro del paese dove ero nata e dove con amiche e amici mi ritrovavo. Della zona dei Cappuccini non m’interessava niente e nessuno, tantomeno i ragazzi, sempre sporchi, rozzi, parolacciari, vestiti con i pantaloni dei grandi tagliati e spesso, lo facevano anche apposta si sedevano per mostrare tutto. A me facevano paura e schifo. Così per accorciare la strada facevo la scalinata di Santa Maria della Valle. Ma certi giorni a metà strada mi fermavo e poi come un’invasata giravo a destra, passavo sotto l’arco (del fattore?) e mi bloccavo davanti alla porta di uno scantinato, pian piano scendevo tre scalini e in silenzio mi accucciavo dietro una tavola. Che spettacolo appariva ai miei allora ingenui occhi! Una parete piena di gomitoli di lana e cotone di vari colori, cesti con palle e ciuffetti appallottolati, avanzi di maglie di ogni tipo, poi il telaio e la giovane donna che lo faceva muovere da sembrare quasi che suonasse un’arpa e l’intreccio delle dita sui fili andavano e ritornavano con un ritmo sincopato. Lei non si muoveva mai e a me sempre grande lettrice di gialli e seguace di tutti i detti sulla magia, mi sembrava come se fossi entrata in trance. Poi mentre i fusi colorati sembrava quasi volassero tra le dita della ragazza, si formava man mano un tappeto dai cento colori e sfumature, io ne ero affascinata e talmente ero presa che quando il telaio con rumore un po’ più forte sobbalzavo quasi impaurita.

Ora non c’è più niente, la ragazza è diventata quasi vecchia; le tele per lenzuola, i centri per tavoli, le tovaglie, sottane, fasce per bambini e tante altre cose non si usano più, sono rozzi si dice e costano tanto. Ma io dentro una cassapanca ho ritrovato una fascia dei miei tre figli, l’ho accarezzata: mi sembrava di seta, l’ho odorata e mi sembrava profumasse di gelsomini, me la sono accostata al viso e  mi sembrava morbida come la pelle di un bambino e allora l’ho bagnata con le mie lacrime e tra i singhiozzi l’ho rimessa nella panca, e mentre la chiudevo mi è sembrato di sentire il rumore del telaio!

 

Per Rodolfo

Tanti ragazzi insieme, prima della guerra, tra l’Arco Trionfale e Piazza Sant’Andrea, ci si radunava, si giocava a nascondino, a campana, a cerchietti, a corda a palla, insieme eravamo liberi sulla strada libera e pulita perché lavata tutti i giorni da Cencio il fontaniere. Chi si può dimenticare di Rodolfo, quel bel ragazzetto bruno, con occhi scuri, capelli ondulati, che stava sì insieme a noi, ma era vergognoso e a me dava l’idea di essere un po’ riservato, non giocava, ma restava in disparte e sembrava che il suo sguardo e la sua mente fossero da un’altra parte. Poi il tempo è passato, siamo cresciuti tutti, ci siamo persi di vista, la strada è diventata una pista, ma non per bimbi giocosi, ma di auto, bici e moto rumorosi e veloci. Cencio era morto e nessuno aveva preso il suo posto, così tra le macerie, la gente, le auto era come vivere in un brutto disadorno bosco. Tanti anni sono passati e con Rodolfo ed altri ci siamo rincontrati. Fino a tempo fa io a volte mi fermavo a parlare con lui nel negozio di marmi e lasciandolo avevo dentro tanta tranquillità perché lui era diventato un uomo serio, lavoratore e calmo. Qualche mese fa l’ho incontrato e un colpo al cuore ho ricevuto perché coi miei occhi penetranti l’ho visto allontanarsi da tutti quanti. È passato un altro po’ di tempo e Rodolfo è andato via in una folata di vento. Mi auguro che chi l’ha preso presso di sé così presto, gli dia tante lastre di nuvole marmoree con scolpiti i suoi tanti lavori, e tante altre libere, così che lui possa seguitare a preparare banchi regali, da porgerci quando quel Signore ci chiamerà e tutti insieme per l’ultima volta ci riunirà.

 

 Me

Franca bella, Franca canterina, Franca che occhi blu hai, Franca dai capelli biondi sembrano grano, Franca col nasino all’insù, Franca con la bocca sempre atteggiata al sorriso, Franca con la pelle bruna, Franca con le mani piccole e un po’ brutte, Franca piccolina ma perfetta. Franca, Franchina, Francesca. Era un chiamare continuo e lei a volte si stufava e faceva finta di non sentire, ma al n. 1 di Via XX Settembre l’adoravano tutti e da tutti Franca riceveva dolcetti, cioccolatini e tante tante coccole. Ma il bello veniva il giorno della Befana. Franca dal quarto piano iniziava a cantare e arrivava al primo dove c’era Verginietta che sembrava l’aspettasse dietro la porta, perché apriva e Fra’ va dentro che è passata la Befana, Franca incredula entrava girava guardava per tutta la casa e toh sotto il tavolo c’era una bella seggiolina per bambina e io a casa l’adoperavo per stare vicina al fuoco e a mamma che mi raccontava di quando stava a Roma in casa di principesse a ricamare e di tutte le opere che aveva visto. Poi su tutti i piani Franca veniva chiamata e Filomena, Anna Maria, Beatrice, Nanna, tutte avevano un regalo per lei. Tornava a casa carica, anzi doveva fare più di un viaggio per avere tutto in mostra sul tavolo della camera da pranzo. Ma la cosa che Franca adorava di più era Moretto il bambolotto e lo teneva in un cestino con vicini tutti i dolcetti che lei dopo una notte insonne aveva trovato sul tavolo di marmo della cucina. Quando i vicini, i negozianti, i dirimpettai non la sentivano cantare era un continuo chiamare la mamma per sapere dove stava e perché non s’era sentita cantare. Tutti volevano bene a Franca, “Si’ tutto pepe” le dicevano le mamme e mi accarezzavano. Poi la guerra, la dispersione delle persone, la disperazione di dover abbandonare le cose care ma Franca era sempre in movimento. Portava a casa tutto quello che le davano e tutte le verdure, frutta, che trovava negli orti. Tutti hanno seguitato a volere bene a Franca perché dove lei andava portava il sorriso. Ora Franca è vecchia, ha nipoti e anche se non appare, profondamente li ama ma in loro non si vede in niente e allora si chiede perché non sono nata e stata una carogna brutta?

 

Elemosina?

Ho incontrato per caso, sulla piazzetta dei Monasteri, un uomo, aveva l’occhio spento, un po’ calato e si capiva che era ammalato. Sono restia a dare confidenza agli estranei, ma in quel momento ero sola e l’ho salutato con affabilità come avrei fatto con un essere da sempre conosciuto. Ho fame mi ha detto con voce bassa, non ho casa, non ho un posto dove andare e stare, neanche qui c’è un angolino per me e quindi sto solo pensando a sperando che chi ci dirige e dice di volerci bene mi si riprenda con sé. Hai famiglia? Hai qualcuno? Gli ho chiesto. Ma è bastato un gesto per farmi capire che non aveva nessuno. Che fare? Gli ho dato dei soldi, la mano, e con un gesto per me più che umano l’ho abbracciato. Sono rimasta sbigottita, un gesto del genere non l’avrei mai fatto, ma poi tornando indietro mi guardavo intorno per vedere se c’era quell’uomo, ma dopo un po’ in mezzo ai cespugli l’ho visto: era morto, ma nella mano aperta c’era dentro la mia elemosina.

 

Colore della vita

Mi sono soffermata a guardare il cielo, un po’ di celeste si vedeva in lontananza, erano chiazze come piccoli laghetti di montagna o come se un pittore si fosse divertito a spennellare pittura azzurra qua e là. Ma al centro, e copriva quasi tutta la volta celeste, c’era una nuvola nera, brutta, il suo colore andava dal grigio chiaro allo scuro al colore del carbone e il suo muoversi era veloce a destra e sinistra e si girava veloce, quasi indemoniata e faceva pensare a tutte le cose peggiori che possano capitare a ognuno di noi. Ecco, la mia testa quando ragiono da sola va proprio a quella velocità e tutte le angherie, le promesse non mantenute, i gesti perfidi, le gelosie, le invidie gratuite, tutte somigliano a quell’oscura nuvola. E tutti gli smerli che intorno s’allungano mi facevano pensare al passare di una mia giornata, io abituata a non lavorare mai, ora quasi per necessità costretta a tagliare l’erba, a raccogliere e segare canne, a controllare i danni che giornalmente avvengono, così che arrivo alla sera stanca. Il cuore? Il battito? La fibrillazione? Chi la sente più ! quando mi siedo, questo periodo freddo davanti al fuoco, mi sento per un po’ quasi rivivere, poi pian piano m’appisolo e riappare quella volta nera, un attimo perché si fanno avanti le chiazze celesti, che diventano sempre più grandi e vanno a coprire il nero ed ecco che su quell’azzurro ci vedo rami di fiori, visi sorridenti, bimbi stupendi, animaletti festosi, farfalle dai mille colori, uccellini cinguettanti e allora sospiro e penso: perché la vita non è somigliante a questo cielo così vero e finire poi in serenità in un modo… celestiale? Ma io fissavo l’azzurro chiaro del piccolo ritratto e a un tratto sono scoppiata in un pianto dirotto. Non ero mai stata abbandonata, non ero sola, non ero triste, ma dopo che mi sono asciugata le lacrime ho pensato anche io come mio marito, guardavo quelle nicchie con dentro le madonne e allora sul viso mi tornò quasi il sorriso, e mi parve di stare in paradiso.

Denuncia

Dopo essere andata a denunciare una cosa che avevo sullo stomaco, mentre riscendevo dalla caserma ho notato in mezzo a tanti fiori, vera? Sembrava una farfalla e più in basso un altro bocciolo rosso. Ho richiamato mia nipote che si era allontanata e facendo a voce alta i complimenti a quell’angolo di natura quasi irreale ho notato il proprietario che era stato a sentire. Sorridendo con espressione gentile e buona, ha preso le forbici e venendo verso di noi ha detto che non aveva mai sentito elogiare così quell’angoletto fiorito specie poi da una signora così belle, mi si è avvicinato e zac! Il bocciolo più bello era nelle mie mani. Che sensazione! Un brillante un bracciale, un oggetto d’oro in quel momento era niente in confronto a quel vellutato insieme di petali e fuori stagione, ed era per me un momento di valore inestimabile, e così dopo aver ringraziato con mia nipote siamo andate via. Il finale è stato ancora più magico, mia nipote ha toccato il bocciolo e ha esclamato: “Nonna visto che ti fanno ancora complimenti e omaggi e a evi accanto persone che ti facevano omaggi e regali questo mi sembra magico e allora perché non lo portiamo sulla tomba di nonno Franco?. Lui ne sarà contento e forse ci farà un sorriso pensando che nonostante gli anni passati la sua donna viene ancora appellata con bei complimenti e riceve ancora un bocciolo di rosa come omaggio a questa ancora