Cartaio a Subiaco

 

Parte prima

 

Non avremmo voluto scrivere questo “coccodrillo” sulla Cartiera di Subiaco…  C’era e non ci sarà più, dopo 419 anni di attività.A questo punto, però, c’è il rischio che, oltre alla cartiera, perdiamo anche la memoria della cartiera. Sarebbe un ulteriore impoverimento.

 

L’economia locale di Subiaco è stata, per così dire, da sempre legata alla  sua cartiera. I cartai, erano una realtà positiva: quasi mai scontenti del loro lavoro, disponibili ad accontentarsi di una paga ridotta nei mesi della Ricostruzione dopo la distruzione causata dai bombardamenti aerei; pazienti; molto produttivi; non assenteisti.

La cartiera faceva - ovviamente - registrare una sua vita interna: le persone all’opera nei vari reparti, un certo clima nei rapporti, una catena gerarchica, una dinamica della presenza sindacale, un patrimonio di competenze professionali. Di questo parleremo in una prossima puntata.

Ora ci interessa molto contribuire a salvare la memoria della irradiazione della vita della cartiera all’esterno, nelle piazze, nella case e nelle famiglie di Subiaco: la cultura orale sulla cartiera. Cioè la cartiera come la conoscevano tutti quelli che in cartiera non ci lavoravano e che forse  non vi erano mai entrati….ma avevano sentito racconti, visto camions che entravano e uscivano, toccato e riusato i feltri che venivano scartati, visto l’Aniene talvolta colorato e soprattutto udito ogni mattina e ogni sera l’urlo della sirena, all’inizio e alla fine dei turni di lavoro.

Quella sirena era sentita da tutti, ma da ciascuno alla sua maniera. I cartai “attaccavano” o “staccavano” . Gli alunni, di mattina, si affrettavano verso la scuola. Tutti gli altri, anche nelle campagne, erano attenti alla sirena e alle campane:  il ritmo della loro fatica quotidiana.

 

Ma quella cartiera, nel tempo, non ha mai fatto nascere una vera cultura industriale in tutta la popolazione. I ritmi di vita erano sempre dominati dal  ciclo  stagioni, lavori, mercati, feste paesane... Gli stessi cartai mantenevano uno stretto rapporto con i lavori della campagna e, appena possibile, correvano nel loro terrenuccio per non abbandonare le coltivazioni.

Gli operai  ( le maestranze) erano molto attenti e competenti, ma proprio per mantenere un legame con la vita familiare, contadina e paesana giungevano a rinunciare alle promozioni e le qualifiche più alte pur di non trasferirsi in altre cartiere, magari solo per un certo tempo. Una ricerca ENPI del Dott. Tommaso Caroni, mirata a prevenire gli infortuni, accertò proprio questa scelta: meglio sicuri qui che promossi altrove.

Quando volevano scherzare i cartai dicevano di “lavorare in Vaticano”, per dire che quello era un lavoro  garantito….

Questo atteggiamento comunque era anche una sorta di assicurazione psicologica contro gli infortuni sul lavoro.

Anche l’intera popolazione era rassicurata dalla presenza di una cartiera viva e vitale.

La popolazione, sulla cartiera e i cartai conosceva, per sentito dire, poche cose, ad esempio che le macchine erano, dal dopoguerra: la "pasta-legno", la calandra, il maglio, la  “macchina continua”e, inoltre, essiccatoi, presse, trasporti,  la centralina elettrica autonoma..

 Fuori,le stesse mansioni dei cartai venivano conosciute un po’ all’ingrosso: “scurzini”, magazzinieri, meccanici, elettricisti, chimici, autisti, impiegati , dirigenti.

A proposito di dirigenti e tecnici qualificati, va sottolineato che essi hanno avuto una importante funzione dentro la Cartiera e in Subiaco: hanno vissuto tra noi - spesso provenendo dalle grandi Cartiere (Binda, Fabriano, Burgo)-; contratto matrimoni con famiglie della tradizione locale; ci hanno aiutato a crescere.

Ogni tanto si sentiva parlare di crisi della carta, di possibili licenziamenti, ma fortunatamente c’era sempre un intervento straordinario che rattoppava la situazione. Oggi si direbbe che quello era assistenzialismo, visto che siamo di fronte al freddo darwinismo economico e sociale dominante.

 

Finché i Crespi sono stati i “padri-padroni” della Cartiera e in prima persona  si interessavano anche di Subiaco (l’Ing. Cesare diventò anche Sindaco), i sublacensi mantenevano la loro fiducia. Questa fiducia garantiva una bassa conflittualità sindacale, faceva sottacere sui mini-inquinamenti dell’Aniene , le periodiche morìe di trote e i fischi dei grandi sfiatatoi a pressione. Insomma si conviveva più o meno pacificamente.

 

Poi venne la stagione delle crisi vere.

Ai Crespi subentrò la GEPI, poi la Wiggins Teape, poi vari proprietari  e gestori in poco tempo, e, infine, l’avvitamento senza fine verso la chiusura e lo smantellamento.

I troppi “medici” hanno fatto morire una cartiera già malata….

Papa Sisto V l’aveva fondata  destinandola alla produzione di carte pregiate , anche la carta-moneta per lo Stato Pontificio.(Ormai smuove ad una certa commozione la monografia storica La Cartiera di Subiaco 1587-1987, ottimamente curata dall’Arch. Giorgio Orlandi, quando tutto sembrava procedere bene).

Nell’ultima fase: “no charbon paper”, la carta autoricalcante “ action paper” della 3M Minnesota . Sembrava un successo. Poi si scoprì che quella carta era pericolosa per la salute. Nacquero in tutto il mondo altri tipi di calcolatrici che usavano rotoli di carta diversi, arrivarono i computer e la scrittura immateriale  su “sopporti non cartacei” e la nostra piccola cartiera decentrata, lontana da ferrovie e autostrade, non riuscì a riconvertire la produzione e “stare” nel mercato della carta, oppure del cartone, dell’imballaggio o simili. Nonostante i vari tentativi……

Colpo finale: si costruisce in Marocco, con le nostre maestranze, una cartiera gemella: uno dei primi casi di “delocalizzazione”.

Così per i cartai di Subiaco  cominciò la serie nera: cassa integrazione, licenziamenti, taglio delle attività, trasferimento a Roma della Direzione amministrativa, vorticosi cambi di dirigenti….

 Un tramonto senza fine.

 

L’opinione pubblica è stata indotta a digerire questa triste vicenda un po’ alla volta. Gli ultimi cartai hanno voluto “vedere la carte” e il progetto industriale della DEA. Sono andati a Guarcino e a Sora per capire meglio la realtà. I sindacati interni non hanno avuto più fiato per gridare.Le istituzioni, ai vari livelli “ si sono chiamate fuori”!

Ora si delinea l’istituzione di un museo sublacense della CARTA: è proprio il segno della fine. Quando una realtà vitale diventa museo, allora quell’ attività è davvero finita.

 

Al contrario per fortuna la stampa, dal 1465 ad oggi, a Subiaco “vive,cresce e fiorisce”. Puntiamo molto sulla nostra stampa e le tipografie oggi funzionanti: gli editori, i tipografi, i distributori di libri e  di altri prodotti editoriali ! Qui la qualità, anche imprenditoriale, la vince sulla concorrenza dei grandi!

 Quanto agli ex cartai, essi ora attendono un lavoro, sotto altra forma, in quella che fu la gloriosa Cartiera di Subiaco S.P.A..